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La ripresa deve avere un’anima d’acciaio

La ripresa deve avere un’anima d’acciaio

La ripresa deve avere un’anima d’acciaio

[NdR 23 gennaio 2025: per i dati più recenti sulla produzione italiana di acciaio, leggi l'articolo aggiornato.]

La siderurgia italiana ha chiuso il 2011 con volumi in crescita ma margini in calo. Fusioni tra “pesi medi” farebbero salire la redditività ma perdendo in flessibilità. Gozzi: “più attenzione dall’europa”.
Articolo di Roberta Paolini.   Fonte: Repubblica.it - Vicenza - Senza industria l’Europa è finita. Antonio Gozzi, neo insediato presidente alla guida di Federacciai rivendica vigorosamente il ruolo della siderurgia, e di quella italica in particolare, come anello fondamentale nella catena del manifatturiero. “Questa crisi dagli esiti incerti per l’inadeguatezza a fronteggiarla, soprattutto in Europa, da parte delle classi dirigenti un merito lo sta avendo – dice il leader dei siderurgici - Far capire a tutti, anche ai più ubriachi di monetarismo e finanza, il ruolo e l’importanza dell’industria e della manifattura nei sistemi economici moderni”. Quello siderurgico è un comparto forte, fatto di capitalismo familiare sano, attaccato fortemente alle proprie aziende. L’andamento dell’acciaio è indicatore di ciclo e in un momento di feroce recessione legato alla crisi del debito, nonostante il 40% della domanda arrivi da un settore in grave difficoltà come le costruzioni, riesce a tenere.

“Ci siamo mantenuti grazie all’efficienza straordinaria delle nostre aziende ed alle esportazioni – dice Gozzi ma queste ultime sono fatte a prezzi marginali solo per dare un po’ di volumi”. Per questo il tema delle aggregazioni, in questo settore, resta in agenda, anche se spiega Gozzi “è difficile aggregarsi se non si è disperati. Per di più la dimensione, media, delle aziende italiane di questo comparto porta un vantaggio di adattabilità. Certo è che in una fase come questa le aggregazioni semplificherebbero il rapporto tra domanda e offerta, riuscendo a mantenere la profittabilità”. Escludendo il Gruppo Riva, 7,7 miliardi di ricavi nel 2010, infatti, che è il quarto produttore d’acciaio in Europa e uno dei big mondiali, le imprese siderurgiche italiane hanno fatturati che stanno di media nella forbice tra gli 800 milioni e 1,5 miliardi di fatturato. Sono quindi dimensionate, ma non abbastanza per gestire la tensione tra domanda e offerta. Per questo Giuseppe Pasini, predecessore di Gozzi in Federacciai ha lungamente tessuto una trama che portasse a un’integrazione tra alcuni produttori di acciaio, compresa anche la sua Feralpi. Nel polo immaginato da Pasini sono stati fatti a vario titoli i nomi dei concittadini bresciani di Alfa Acciai e Ferriera di Valsabbia e dei friul-giuliani del Gruppo Pittini. Ma nonostante i tanti inviti all’integrazione il fidanzamento non si è mai trasformato in un matrimonio. Fuori dall’ipotesi di aggregazione il gruppo degli Amenduni che gode di un posizionamento competitivo molto diverso dagli altri, visto che i vicentini sono dei leader negli acciai speciali. Nel complesso il settore dell’acciaio italiano “vale” oltre 40 miliardi di Euro, di cui oltre 12 miliardi di export (in crescita del 12,2%) e occupa circa 70.000 addetti (tra diretti e indiretti). Il 2011 si è contraddistinto come un anno di ripresa produttiva con 28,7 milioni di tonnellate di acciaio prodotte (+11,6% rispetto al 2010). Negli ultimi cinque anni il settore ha realizzato in Italia (mentre altri comparti tiravano i remi in barca) investimenti fissi per oltre 5,5 miliardi di euro (di cui quasi 1 miliardo di euro in attività legate alla tutela dell’ambiente e alla sostenibilità di lungo periodo). “Senza spirito di lealtà e di generosità nei confronti delle nostra aziende, dopo la “bonanza” degli anni antecrisi – attacca Gozzi - avremmo potuto prendere i soldi e scappare. Invece smentendo un luogo comune certamente falso almeno per noi (famiglie ricche e imprese povere) abbiamo continuato senza sosta a modernizzare, migliorare, inventare processi e prodotti; abbiamo continuato a creare occupazione e ricchezza battendoci per la sopravvivenza e lo sviluppo di un settore strategico per l’economia nazionale”. Ma adesso la sfida è durissima, perché migliorare quando si è già in cima è complicato. “Dal punto di vista gestionale le nostre imprese sono già tra le più efficienti d’Europa, hanno razionalizzato impianti, sono flessibili e adattive in termini di stop and go dell’attività, tutte queste manovre sono già state assunte essendo il nostro comparto un campione in termini di efficienza e quindi migliorare ancora non è facilissimo. Servono misure per crescere adesso”. Per questo Gozzi chiede che le promesse del ministro Corrado Passera di rimettere in moto gli investimenti infrastrutturali, quei circa 30 miliardi di euro di cui va parlando da settimane, si realizzino.

Il punto su cui picchia duro Gozzi è il disallineamento, l’asimmetria competitiva che la sindrome da prima della classe dell’Europa sta facendo pagare al manifatturiero, all’acciaio prima di tutto. Dal tema dell’ambiente, al costo dell’energia, alla mancanza di omogeneità nell’approvvigionamento di materia prima. Difficile giocarsela da pari con tante condizioni avverse. “Ci sono asimmetrie persistenti, c’è grande fair trade, liberismo ma che non ha una contropartita nel resto del mondo”. Un tema caldissimo è quello della CO2 e della gestione europea del Protocollo di Kyoto. “Non si può far gravare solo sull’industria europea– dice Gozzi - che rappresenta meno del 10% delle emissioni mondiali tutto il peso economico del Protocollo senza alcuna reciprocità con i sistemi industriali e siderurgici di tutto il resto del mondo”. L’altra questione riguarda la vicenda del rottame. Cioè l’unica “miniera” di materie prime per la siderurgia disponibile in Europa. “È chiaro – chiude Gozzi - che per noi ha un valore strategico fondamentale. Nonostante le reiterate richieste per giungere a una qualche forma di protezione delle nostre “miniere” dalle incursioni a Nord e a Sud di soggetti extraeuropei che vengono a fare incetta del nostro rottame, ci siamo sentiti opporre sempre ragioni di presunto fair trade totalmente astratte perché non basate sul alcun serio principio di simmetria e di bilateralità”.

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domenica 17 giugno 2012