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Siderugia, l'export non basta «Aggregazioni per ripartire»

Siderugia, l'export non basta «Aggregazioni per ripartire»

Siderugia, l'export non basta «Aggregazioni per ripartire». Pasini (Federacciai) non boccia l'ipotesi «delocalizzazioni» Beltrame: abbandoniamo i vecchi schemi, non per disperazione.

Il vero grande assente per la siderurgia italiana ed europea non la capacità imprenditoriale, non la flessibilità delle imprese, è l'affievolimento dei consumi di acciaio il fattore penalizzante per un comparto che rappresenta una buona fetta del Pil nazionale. E all'orizzonte sono pochi gli elementi per alimentare l'ottimismo.
Un quadro emerso durante lo Steel Market Outlook (presieduto da Emanuele Morandi) organizzato a Brixia Expo. A sei mesi dall'apertura dell'edizione 2011 di «Made in Steel», la situazione per il comparto è piuttosto cupa. «Uno spunto di ripresa c'è - ha detto Giuseppe Pasini, presidente di Federacciai e leader del gruppo Feralpi di Lonato -. Alcuni settori hanno fatto passi avanti». Il vero nodo, tuttavia, è che «lo fanno solo perchè trainati dall'export», ha subito precisato. Note dolenti per un settore, come quello siderurgico nazionale, che vive in un contesto di offerta globale, ma intercetta soprattutto la domanda nazionale. «Non torneremo ai livelli produttivi di due o tre anni fa - ha aggiunto Pasini -: viceversa, dovremo fare i conti con l'eccesso di capacità produttiva e strutturare le imprese su volumi minori e su efficienze maggiori». C'è un'altra strada da seguire: la delocalizzazione. «È una valida alternativa - ha detto il leader di Federacciai -. Non guardiamo necessariamente a Paesi lontani, ma anche più vicini, come nel Nord Africa». Ed è proprio la regione maghrebina, grande acquirente di acciaio, «a rivolgersi sempre più spesso a greci e spagnoli, spinti all'estrema competitività dalla crisi che li attanaglia», ha spiegato Enrico Fornelli, direttore commerciale del gruppo Beltrame. «Viviamo in un mondo a differenti velocità - ha sottolineato -, dobbiamo temere l'aggressività anche dei competitors asiatici perché continuano a vedere opportunità commerciali anche in un mercato piatto come quello europeo. Non c'è battaglia sul fronte dei costi di produzione». Come reagire dunque? Abbandonando vecchi schemi imprenditoriali e guardando alle aggregazioni «con convinzione e non perché spinti dalla disperazione».

Della necwssità di un nuovo modello di fare impresa si è fatto portavoce Romano Pezzotti, presidente di Assofermet Rottami. «Il caso del rottame ferroso - ha detto - è emblematico: la volatilità dei prezzi c'è e non scomparirà. Solo chi fugge dalla mera speculazione e ricorre ad attente strategie avrà successo. I mini-cicli economici resteranno una costante, ma sono da considerare anche un'opportunità». Nel frattempo, «il consumo reale di acciaio in Italia e in Europa resterà stabile nel 2010 - ha mostrato Fabio Baldrighi, direttore commerciale della Acciaierie Arvedi -, forse salirà solo di un 5% nel 2011 dopo l'emorragia del 2009». Nel mercato dei prodotti piani, «il ritorno di una domanda costante - ha aggiunto - sarà la vera variabile in grado di ridare fiducia al sistema, evitare che si susseguano violente variazioni sui valori come osservato negli ultimi due anni.

Nel 2011 le previsioni di ripresa sono in aumento soprattutto dal secondo trimestre». Troppo poco per rasserenare il cielo a breve, soprattutto se a questo si aggiunge l'outlook delineato da Achille Fornasini, connotato da «mine vaganti» come il livello del debito pubblico, le distorsioni sui mercati valutari e l'economia reale ancora alle corde e schiacciata dalla finanza. A proposito di finanza, anche in siderurgia insoluti e difficoltà all'incasso sono sempre più spesso all'ordine del giorno.  

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mercoledì 22 settembre 2010